E’ stata una sorpresa, di quelle che fanno sentire di nuovo la vita scorrere. Non solo il corteo a Roma di venerdì 17, ma il clima e la mobilitazione diffusa delle ultime settimane che hanno preceduto e reso possibile quella giornata spingendola ben oltre il pur riuscito sciopero dei sindacati autorganizzati e facendone il primo momento generale di opposizione sociale al governo. Un’opposizione dalle caratteristiche in gran parte ancora da esplorare. La presenza in piazza venerdì non a caso eccedeva in più sensi la composizione tradizionale del corteo sindacale alternativo. Per la presenza delle famiglie coi bambini toccate dalla controriforma Gelmini, innanzitutto, mescolati a precari di ogni età. Per lo spezzone numerosissimo e vivo degli studenti medi e universitari. Per quel senso, al di là dei numeri, di embrionale costruzione di un collante, di uno spazio comune che non si limita al confluire di categorie di lavoratori e vertenze diverse, ma contiene una potenzialità, difficile da definire a tutt’oggi, che ruota intorno alla percezione che la vita quotidiana, la riproduzione sociale va difesa da uno tsunami che si avvicina.
E’ qualcosa di più allora di una semplice trasversalità di soggetti. Per questo -senza sminuire il successo dell’iniziativa, al contrario- si sbaglierebbe a pensare che il surplus di presenza sia interpretabile in termini di “adesione” tradizionale allo sciopero dei sindacati di base. A maggior ragione questo vale per quanti, soprattutto nella scuola, venerdì in piazza non c’erano ma hanno fatto lo sciopero o c’erano ma con altre tessere in tasca, ma soprattutto per quanti si sono mobilitati in questi giorni per la prima volta, anche tra i giovani, soggettività nuove molto distanti dalla politica ufficiale e dal sindacato, da ogni sindacato, sgomente di fronte a un futuro buio pesto. Soggetti che si sanno privi, a ragione, di ogni sponda istituzionale, e per questo difficilmente catturabili dal dispositivo di una pseudo alternativa di governo, oscillanti in continuazione nell’ambivalenza di passività individualizzata e scatti di dignità che iniziano a tracciare traiettorie di lotta molto differenti dal passato. Rimettendo in campo sentimenti, temi, dinamiche che abbiano intravisto nel no war e poi nelle lotte a difesa del territorio, e che ora stanno entrando di forza nella vita di tutti sull’onda della crisi del debito e della precarizzazione senza ritorno dell’esistenza quotidiana.
E’ qui, forse, il filo comune di questo strano autunno “caldo”. A partire dalla lotta Alitalia che pur non vincendo ha messo in pratica un inedito “rifiuto” del lavoro sussunto alla finanza segnando in qualche modo una svolta nel clima sociale . E ora con la mobilitazione spontanea e autorganizzata di genitori e insegnati delle scuole elementari che sta trainando il resto della scuola fino all’università – la reazione è di individui sociali eterogenei e potenzialmente ricchi, nella normalità sussunti a vie di fuga individuali o corporative, a volte però e quasi inaspettatamente capaci di ribaltarle costruendo come dal nulla una cooperazione di lotta. Su quale percezione? Quella di un’esistenza tendenzialmente fagocitata dal mercato e dalla rendita finanziaria cui si è costretti a devolvere parti sempre maggiori del proprio reddito e soprattutto delle condizioni della riproduzione sociale, del welfare, del futuro proprio e dei figli. Chiamati a piegarsi al Post-Washington Consensus che suona: la bad company a voi, la good company ai profittatori… E’ presto per dire come questo filo verrà intessuto dalle lotte. Ma è quasi certo che siamo davanti ai segnali di una cesura nel tessuto sociale e nella soggettività.
Per intanto si delinea un possibile passaggio politico della mobilitazione NoGelmini che sarà cruciale dopo l’approvazione parlamentare del decreto. Il no secco ai tagli è e si farà tanto più forte e diffuso quanto più saprà intrecciarsi alla consapevolezza che la formazione, come ogni bene comune, è innanzitutto un rapporto sociale di cui riappropriarci. E’ una relazione tra soggetti che possono insieme cooperare e arricchire il bene comune della riproduzione sociale, al di là di ogni difesa dell’esistente, piuttosto che farsi invischiare nella logica della competizione e del controllo come sempre più accade nell’istituzione scolastica (in special modo nella oramai tristissima università dei crediti). E’ quanto già emerge dal senso profondo della mobilitazione: Gelmini e Tremonti distruggono la scuola, noi non solo la difendiamo ma la costruiamo! Lo si chiami come si vuole, in gioco è un agire cooperativo realmente “pubblico”, discusso partecipato e organizzato in prima persona da chi la formazione la fa veramente: le notti bianche che aprono le scuole al territorio, i cortei autorganizzati che costruiscono un sentire e un consenso diffusi, la produzione e circolazione di informazione autonoma e altro ancora. Il no senza mediazioni ai tagli è l’altra faccia del riprendersi spazi che lo stato chiude o privatizza, attivare in proprio processi di formazione, organizzare autonomamente le condizioni per sottrarli alla mercificazione. Lotta e produzione di relazioni sociali altre: le forme concrete emergeranno, già emergono dalle mobilitazioni. E non sarà certo la farsa parlamentare dell’approvazione di un decreto a fermarle.